Prova delle cessioni intracomunitarie di beni: linea dura della Cassazione
Con l’Ordinanza 9717/2018 la Suprema Corte ribadisce l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui è il cedente che deve dimostrare, nell’ambito di una cessione intracomunitaria, l’effettivo trasporto dei beni in altro stato membro.
Tuttavia, con questa ultima pronuncia, i giudici introducono un’ulteriore limitazione rispetto al passato, affermando che i documenti atti a fornire la prova della cessione sono i CMR timbrati e firmati da tutti i soggetti coinvolti (cedente, trasportatore e destinatario), ovvero i contratti commerciali, mentre non hanno alcuna valenza documenti di origine privata quali le fatture emesse o la documentazione bancaria attestante il pagamento della fornitura.
Queste affermazioni, in realtà, si pongono in contrasto con un principio più volte ribadito (e ormai consolidato) in precedenti pronunce della Cassazione e della Corte di Giustizia UE e affermato dalla stessa Agenzia delle Entrate in alcune risoluzioni (per tutte vedasi la n. 477/2008), secondo il quale il contribuente ha la possibilità di provare l’effettiva consegna delle merci in altro stato UE con ogni mezzo e, in ogni caso, tale prova è frutto di un insieme di documenti, non essendo di per sé sufficiente il solo CMR se non supportato da altre evidenze.
Considerato il crescente impegno che gli organi di controllo impiegano negli accertamenti aventi ad oggetto operazioni intracomunitarie ed esportazioni, diviene fondamentale per tutti gli operatori adottare procedure di vendita idonee a produrre e conservare la documentazione necessaria.