Category : commenti dello studio

Riduzione al 50% dell’aliquota IRES, l’intervento di AdE sull’applicazione agli enti religiosi civilmente riconosciuti – L’articolo di Gianluigi Bertolli per NT Plus Diritto

  • Studio Bertolli
  • 1 Giugno 2022

Su NT Plus DirittoIl Sole 24 Ore, un articolo a firma del Dott. Gianluigi Bertolli a commento della circolare dell’Agenzia delle Entrate 15/E del 17 maggio 2022, sull’applicazione del dimezzamento dell’aliquota IRES per Enti religiosi, fondazioni di origine bancaria ed Enti ospedalieri (ex articolo 6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601).

Al via dal 1° luglio il credito d’imposta sulle commissioni per i pagamenti elettronici

Per incentivare l’utilizzo dei pagamenti con carte di credito, bancomat o prepagate, l’art. 22 del DL 124/2019 ha introdotto un credito d’imposta per le commissioni sui pagamenti elettronici effettuati da parte di privati a imprese e professionisti a partire dal 1° luglio 2020.

Chiarimenti sull’applicazione dell’esenzione Iva nelle cessioni di beni impiegati nell’emergenza sanitaria

Di seguito l’approfondimento di Maria Cristina Chioda.

***

L’art. 124 del D.L. Rilancio ha disposto che in via transitoria le cessioni di determinati beni impiegati nell’emergenza sanitaria siano da considerare “esenti” dall’IVA, con riconoscimento del diritto alla detrazione dell’imposta assolta a monte.

Misure di prevenzione sui luoghi di lavoro: responsabilità del datore di lavoro

  • Studio Bertolli
  • 28 Maggio 2020

A seguito della conversione di quelle che erano semplici raccomandazioni in tema di misure di prevenzione sui luoghi di lavoro in vere e proprie norme cogenti, si è aperto, negli ultimi giorni, un acceso dibattito in merito alla possibilità che questa nuova valenza acquisita dalle previsioni contenute nei Protocolli condivisi, nel D.L. 18/2020 e nel D.P.C.M. 26 aprile 2020, oltre alla prevista sospensione dell’esercizio o dell’attività, possa generare in capo al datore di lavoro anche obblighi restitutori e risarcitori, e addirittura una sua potenziale responsabilità penale.

La posizione dell’INAIL
Dal punto di vista assicurativo, l’INAIL ha equiparato la causa virulenta a quella violenta, e le infezioni da Covid-19 vengono, quindi, inquadrate come infortuni sul lavoro, senza peraltro influire sull’andamento dei premi assicurativi a carico delle aziende.
La copertura INAIL è, però, riconosciuta al lavoratore solo a condizione che egli sia in grado di dimostrare che l’infezione sia intervenuta durante l’attività lavorativa (ad eccezione di alcune categorie professionali a rischio elevato – per esempio operatori sanitari, cassieri e banconisti – per le quali opera una presunzione semplice di contagio, con onere della prova a carico del datore di lavoro).
Con nota del 15 maggio 2020 l’INAIL ha tenuto a precisare che il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’infezione da Covid-19 non implica automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, che si configurerebbe soltanto qualora venisse accertata una responsabilità per dolo o per colpa di quest’ultimo.

Nessi causali
Perché si possa effettivamente attribuire una responsabilità al datore di lavoro, è necessario che sia dimostrata la sussistenza di due nessi causali:

  • quello intercorrente tra attività lavorativa/ambiente di lavoro e infezione da Covid-19;
  • quello intercorrente tra l’infezione da Covid-19 e un’effettiva violazione (carenza od omissione), da parte del datore, delle misure di prevenzione e sicurezza previste dalla normativa.

Oltre alle recenti disposizioni emergenziali, è fondamentale, inoltre, ricordare che la normativa ordinaria resta comunque vigente: l’art. 2087 del Codice civile riconosce al datore di lavoro lo status di garante della tutela dell’integrità fisica dei propri dipendenti e lo stesso D.Lgs. 81/2008 pone a carico del datore di lavoro diversi obblighi in tal senso.

Dunque, qualora il datore di lavoro non abbia osservato scrupolosamente le misure contenute nei Protocolli o non le abbia correttamente applicate, e sia stato accertato il nesso di causalità tra l’infezione e l’omissione, potrebbe profilarsi nei suoi confronti una condotta omissiva rilevante dal punto di vista penale.

Come sottolineato anche dalla stessa INAIL, l’incertezza sulle effettive modalità di contagio e il continuo aggiornamento delle prescrizioni in tema di misure di prevenzione e sicurezza, rendono complessa la dimostrazione dell’esistenza dei nessi causali e, di conseguenza, anche la configurazione di una responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, ma non di meno, al di là della responsabilità giuridica che potrebbe profilarsi, la tutela della salute dei dipendenti resta una responsabilità anche morale delle aziende, dalla quale discende, inoltre, una più generale tutela dell’attività stessa, nonché della salute dello stesso datore di lavoro.

Ricordiamo, pertanto, nuovamente, l’importanza di una corretta e adeguata applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza previste dai Protocolli, di una chiara ed esauriente informativa rivolta ai dipendenti e a eventuali terzi che abbiano accesso ai locali aziendali e di un’attenta e costante sorveglianza circa l’effettiva adozione da parte dei dipendenti delle misure di igiene e sicurezza e dei dispositivi di protezione individuali necessari.

Fusione e riporto delle perdite. Le recenti novità interpretative fornite dall’Agenzia delle Entrate

A partire dallo scorso 5 dicecembre 2018, si è registrata una nuova tendenza intepretativa da parte dell’Agenzia delle Entrate, in materia di riporto/trasferimento delle perdite fiscali nelle operazioni di fusione.

Pubblichiamo l’articolo a firma di Maria Cristina Chioda, Partner dello Studio, scritto per Diritto 24

 

L’esame integrato delle risposte a interpello n. 93 e n. 94 dell’Agenzia delle Entrate, entrambe datate 5 dicembre 2018, e del principio di diritto n. 6 formulato con nota 15 ottobre 2018, evidenzia una significativa evoluzione interpretativa della disciplina del riporto/trasferimento delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE nelle operazioni di fusioni, valorizzando con una lettura innovativa la ratio delle limitazioni al riporto delle perdite a suo tempo enunciata nella Relazione di accompagnamento al TUIR.

Con i suddetti pronunciamenti, l’Agenzia delle Entrate ha in particolare chiarito che, previa dimostrazione dell’effettiva operatività e capacità produttiva della società incorporata (da conseguire anche attraverso la determinazione dell’effettivo valore reale degli asset trasferiti), tali componenti (appunto perdite fiscali, eccedenze di interessi passivi ed eccedenze ACE) possono essere trasferite alla società incorporante anche in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 172 comma 7 del TUIR a riprova della “vitalità” della società che le ha prodotte, nonché in riferimento al suo patrimonio netto contabile.

In premessa, giova ricordare come in materia di fusioni il mantenimento del diritto al riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE maturate in capo a una società interessata da operazione di fusione dipenda dall’esito positivo di un duplice test di legge e dal rispetto dei limiti consentiti per alcuni indicatori. In sintesi, occorre prioritariamente dimostrare l’effettiva operatività della società titolare del diritto in questione, attraverso una verifica di portata come minimo triennale, avente ad oggetto i ricavi della gestione caratteristica e le spese per prestazioni di lavoro subordinato. In via ulteriore, la società interessata deve risultare titolare di un patrimonio netto contabile, quale risultante dall’ultimo bilancio e decurtato dei conferimenti e dei versamenti effettuati nei 24 mesi anteriori, di ammontare almeno pari all’importo delle posizioni soggettive in analisi; qualora il patrimonio netto contabile da bilancio risulti superiore alla situazione patrimoniale definita ai sensi del Codice Civile, ai fini della verifica di congruità sopra descritta si assume a riferimento il secondo parametro. In proposito, è importante sottolineare che di tali requisiti minimi di vitalità economica deve essere dimostrata una sussistenza non solo perdurante nei tre periodi precedenti a quello in cui viene deliberata la fusione, ma anche persistente sino al momento in cui la fusione trova effettiva attuazione (risoluzione n. 143/E del 2008).

La verifica della sussistenza di condizioni minime di vitalità economica e del rispetto del “limite patrimoniale” sono gli strumenti individuati dalla norma a tutela e garanzia della piena affermazione della ratio che sottende l’articolo 172, comma 7 del TUIR, ben delineata nel testo della Relazione di accompagnamento al provvedimento, che esplicita come l’obiettivo sia quello di contrastare il cosiddetto commercio di “bare fiscali”, realizzabile mediante fusioni con società prive di capacità produttiva (talora persino portate strumentalmente in tale condizione), allo scopo di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra.

In specifico riferimento alla previsione di un “limite patrimoniale”, la volontà insita nella norma è quella di “attuare una soluzione equilibrata, che pur mantenendo fermo il diritto del riporto delle perdite, eviti che per mezzo della fusione si trasmettano deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate“.

In tale ottica ed in coerenza con lo spirito della norma, nel chiarimento fornito con il principio di diritto n. 6 del 15 ottobre 2018 – elaborato in risposta ad apposita istanza di interpello “disapplicativa” presentata ai sensi dell’art. 11, comma 2 della L. n. 212/2000 – l’Agenzia delle Entrate riconosce come le perdite della società incorporata, di cui è stato chiesto il riporto, non rappresentino la conseguenza di un’attività di “svuotamento” o “depotenziamento” di una “bara fiscale”, ma al contrario siano veritiera rappresentazione di costi sostenuti nell’esercizio dell’ordinaria attività di gestione di una impresa neo costituita, che nel caso in questione non aveva ancora ottenuto le autorizzazioni necessarie per lo sviluppo del proprio core business. In merito alla fattispecie di società che a distanza di un solo esercizio dalla costituzione vengono interessate da operazioni di fusione con riporto di perdite, con la Risoluzione n. 337/E/2002 l’Agenzia delle Entrate ha escluso che la circostanza assuma automaticamente il carattere di indicatore di un potenziale abuso del beneficio fiscale, conseguibile attraverso una artificiosa azione di “depotenziamento”, negando che una situazione così configurata sia inevitabilmente funzionale ad uno scopo elusivo.

Di particolare rilevanza ed interesse risulta inoltre l’approccio adottato con la Risposta 94/2018 dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della valenza dei risultati del cosiddetto test di vitalità in ordine ai ricavi e proventi dell’attività caratteristica, nonché della verifica del parametro relativo ai costi da lavoro dipendente. Infatti, nel caso in questione, nonostante il mancato superamento da parte della società incorporata dei parametri del test di vitalità previsti dal legislatore, è stato acclarato e riconosciuto che la specifica condizione in esame non integrava la situazione che la norma antielusiva intende colpire, in particolare attraverso la dimostrazione di come gli interessi passivi indeducibili acquisiti dal soggetto “X” per effetto della fusione fossero correlati ad un asset partecipativo nel soggetto “Z” con sede negli USA, asset avente peraltro un valore di mercato considerevolmente superiore all’importo del beneficio fiscale.

Tale constatazione (integrata dai chiarimenti già acquisiti con la Risoluzione n. 143/2008 in materia di rilevanza non esclusiva né vincolante della mancanza di personale quale indicatore di scarsa vitalità aziendale) ha quindi consentito all’Agenzia delle Entrate di esprimere parere positivo alla disapplicazione normativa richiesta con l’istanza in esame.

Al centro del caso esaminato con la Risposta 93/2018 è invece il mancato rispetto del cosiddetto limite patrimoniale, che tuttavia nella circostanza in questione non ha comportato la negazione del diritto di riporto delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE all’esito di un’operazione di fusione. Nonostante non fosse in grado di soddisfare il requisito patrimoniale, la società incorporata non è stata infatti qualificata come “priva di capacità produttiva”, alla luce delle considerazioni che seguono. Il caso riguardava un’operazione di fusione tra due banche, in cui la società incorporata è risultata “vitale” in base ai parametri dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e del costo relativo al lavoro dipendente, ma ha rilevato un patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio di importo inferiore a quello delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE. In proposito, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la società incorporante abbia dimostrato anche attraverso la valutazione al fair value delle singole attività e passività dell’incorporata di non integrare la situazione che la norma antielusiva intende colpire, formulando pertanto parere positivo alla disapplicazione normativa richiesta.

Alla luce degli elementi normativi e dei pronunciamenti sin qui richiamati, si può quindi dare atto del legittimo fondamento delle richieste presentate dal contribuente ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8 Dpr 29 settembre 1973, n. 600, ai fini di ottenere la disapplicazione delle disposizioni previste dall’art. 172, comma 7 del TUIR, qualora venga dimostrato che l’operazione di fusione non rappresenta il veicolo strumentale di una manovra elusiva, consistente nell’incorporazione di una società priva di vitalità economica, allo scopo di decurtare il reddito imponibile di una delle società partecipanti con le perdite fiscali accumulate negli esercizi precedenti la fusione da altra società, la cui attività economica sia ormai inesistente.

E’ infine da rilevare come nelle fonti di recente produzione sopra richiamate gli elementi di maggior valenza innovativa siano frutto di una rilettura in chiave propositiva dei passaggi che la Relazione di accompagnamento al TUIR aveva a suo tempo dedicato alle motivazioni su cui si fondavano le limitazioni introdotte al riporto delle perdite (con successiva estensione alle eccedenze di interessi e alle eccedenze ACE). Il principio fondante (consistente nell’esigenza di evitare che, per mezzo della fusione, “si trasmettano deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate“) viene ora reinterpretato, aprendo alla possibilità di disapplicare la norma contenuta nell’art. 172, comma 7 del TUIR, qualora il patrimonio netto a valori reali dell’entità trasferita risulti superiore alle attività per le quali, potenzialmente, operano le limitazioni di legge.

Deducibilità degli interessi passivi nella fusione per incorporazione – Diritto 24 – 5 dicembre 2018

Pubblichiamo l’articolo a firma di Maria Cristina Chioda, Partner dello Studio, scritto per Diritto 24

La fattispecie di una fusione per incorporazione di una società che deduce gli interessi passivi con le limitazioni previste dall’art. 96 del TUIR in una società non tenuta all’osservanza di tali limitazioni ha trovato importanti riferimenti nella recente risposta ad istanza di interpello n. 62 dell’Agenzia delle Entrate, datata 5 novembre 2018.

Tra gli elementi di maggior rilevanza che emergono da tale pronunciamento, assume particolare significato l’indicazione che gli interessi passivi sostenuti negli esercizi precedenti la fusione nonché nell’esercizio stesso in cui la fusione produce efficacia continuano ad essere soggetti al regime della società “di provenienza”.

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate fa riferimento ad una società che esercita l’attività di gestione di interporti e che, per espressa deroga normativa (art. 96 comma 5 del TUIR), deduce integralmente gli interessi passivi.

Nel corso del 2017, con effetto fiscale retroattivo all’1 gennaio dello stesso esercizio, la società in questione ne ha incorporata un’altra, interamente posseduta e sottoposta, fino alla fusione, al regime ordinario di deducibilità limitata degli interessi passivi, di cui all’art.96 del TUIR.

Quale primo elemento di rilevanza, occorre sottolineare che il regime ordinario previsto per i soggetti IRES dall’art.96 del TUIR comporta la deducibilità in ciascun periodo di imposta degli interessi passivi e degli oneri assimilati, con limitazione posta fino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati.

L’eventuale eccedenza è deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo (ROL) della gestione caratteristica. Dall’ambito di applicazione della norma in esame sono esclusi i soggetti elencati al comma 5 dell’art. 96, tra i quali le “società costituite per la realizzazione e l’esercizio di interporti di cui alla legge 4 agosto 1990, n. 240, e successive modificazioni“.

Pertanto secondo l’Agenzia delle Entrate, indipendentemente dalla decorrenza fiscale e contabile che si è voluta attribuire agli effetti dell’operazione di fusione, gli oneri finanziari relativi all’esercizio ed ai periodi d’imposta antecedenti la fusione stessa restano vincolati alle ordinarie regole di deduzione degli oneri finanziari di cui ai commi da 1 a 4 del citato articolo 96. Nella fattispecie in questione, la società incorporante deve quindi dedurre gli interessi prodotti dall’incorporata nel limite degli interessi attivi e, per l’eccedenza, entro la misura del 30% del ROL, determinando tali parametri con esclusivo riferimento ai valori contabili post fusione inerenti la società incorporante, comprensivi di quelli ereditati dall’incorporata.

Ne consegue che il regime fiscale di tali interessi rimarrebbe quello tipico della società di origine, indipendentemente dalla circostanza che la fusione venga retrodatata o meno.

In altri termini, se una società non soggetta alle limitazioni della deducibilità degli interessi passivi previste dall’art. 96 del TUIR (nella fattispecie, una società per la gestione di interporti) incorpora una società tenuta all’osservanza di tali limitazioni, si configura una situazione in cui:

  • gli interessi passivi non dedotti dalla società incorporata si trasferiscono, quale posizione soggettiva, alla società incorporante;
  • quest’ultima li può dedurre osservando le regole proprie della società “di provenienza” (nella fattispecie, nel limite degli interessi attivi e del 30% del ROL);
  • non è quindi possibile, per la società incorporante, dedurre in modo integrale tali interessi se il ROL non è “capiente”.