Chiarimenti in merito all’alternatività tra Nota di Variazione ex art. 26, comma 3, e rimborso Iva ex art. 30-ter, DPR 633/1972

Con la Risoluzione n. 762/2021, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che, in caso di fatture emesse per errore o comunque oggetto di contestazione, il diritto del cedente/prestatore al recupero dell’Iva, quando non sia più consentita l’emissione della nota di variazione, è sempre garantito tramite istanza di rimborso ex art. 30-ter, a condizione che non vi sia alcun rischio di perdita di gettito, come nel caso in cui il destinatario si sia astenuto dalla registrazione dei documenti ai fini Iva.

Il caso trattato è relativo alla emissione di fatture per servizi prestati da parte della società Alfa nei confronti della società Beta. Alfa procede alla registrazione e liquidazione dell’imposta, mentre Beta contesta gli addebiti e non registra i relativi documenti.

Trascorsi due anni, le società Alfa e Beta concludono un accordo transattivo riducendo l’importo dovuto in base alle citate fatture, ponendo il quesito se, nel caso specifico, sia consentita comunque l’emissione della nota di variazione per il recupero dell’Iva ex art. 26, comma 3, ovvero si debba procedere con l’istanza di rimborso ex art. 30-ter.

L’Agenzia delle Entrate, dopo aver ricordato che, ai sensi dell’art. 26, comma 3, DPR 633/1972, nel caso di sopravvenuto accordo tra le parti la variazione dell’imposta può essere effettuata entro il termine di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, chiarisce, in maniera condivisibile, che l’emissione della nota di variazione ex articolo 26 del decreto IVA è lo strumento principale (e generale) per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione, mentre la richiesta di rimborso è un rimedio residuale, esperibile nei casi in cui il primo non sia consentito per motivi non imputabili al contribuente (come nel caso di specie).

L’art. 30-ter, per l’appunto, stabilisce che la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento, ovvero, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Qualora, invece, l’applicazione dell’imposta non dovuta sia accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

L’Agenzia, infine, conclude richiamando l’orientamento maggioritario della Cassazione, secondo cui, per garantire la neutralità dell’imposta, il diritto al rimborso deve essere sempre riconosciuto nei casi in cui non vi sia alcun rischio di perdita del gettito fiscale, circostanza che ricorre, in particolare, nel caso in cui il destinatario del o dei documenti erroneamente emessi si sia astenuto dall’utilizzo degli stessi ai fini fiscali.