Errori di fatturazione: la Cassazione riconosce il diritto al rimborso
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20843 del 30 settembre 2020, ha sancito che, nel caso in cui sia stata erroneamente applicata l’IVA in fattura per un’operazione non imponibile, il cedente o prestatore ha diritto a recuperare l’imposta versata, alternativamente mediante emissione di nota di credito (ex art. 26 del DPR 633/72) ovvero mediante presentazione di istanza di rimborso, qualora sia accertato il definitivo venir meno del rischio di perdita di gettito erariale derivante dal possibile utilizzo della fattura da parte del cessionario o committente ai fini della detrazione dell’imposta.
Secondo quanto osservato dai giudici, il ricorrere di un rischio di perdita del gettito erariale è da escludere quando, alternativamente:
- la fattura erroneamente emessa è tempestivamente rettificata ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72;
- quando risulti accertato che il cessionario o committente non abbia esercitato il diritto alla detrazione dell’imposta;
- oppure quando l’Amministrazione finanziaria abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della fattura.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, il soggetto passivo emittente, prima di esperire una richiesta di rimborso “generico” di cui all’art. 30-ter del DPR 633/72, dovrà verificare che il diritto alla detrazione non sia stata esercitato dalla controparte e ottenerne prova, oltre alla più generale dimostrazione che ogni altro rischio di frode è stato eliminato.