Misure di prevenzione sui luoghi di lavoro: responsabilità del datore di lavoro
A seguito della conversione di quelle che erano semplici raccomandazioni in tema di misure di prevenzione sui luoghi di lavoro in vere e proprie norme cogenti, si è aperto, negli ultimi giorni, un acceso dibattito in merito alla possibilità che questa nuova valenza acquisita dalle previsioni contenute nei Protocolli condivisi, nel D.L. 18/2020 e nel D.P.C.M. 26 aprile 2020, oltre alla prevista sospensione dell’esercizio o dell’attività, possa generare in capo al datore di lavoro anche obblighi restitutori e risarcitori, e addirittura una sua potenziale responsabilità penale.
La posizione dell’INAIL
Dal punto di vista assicurativo, l’INAIL ha equiparato la causa virulenta a quella violenta, e le infezioni da Covid-19 vengono, quindi, inquadrate come infortuni sul lavoro, senza peraltro influire sull’andamento dei premi assicurativi a carico delle aziende.
La copertura INAIL è, però, riconosciuta al lavoratore solo a condizione che egli sia in grado di dimostrare che l’infezione sia intervenuta durante l’attività lavorativa (ad eccezione di alcune categorie professionali a rischio elevato – per esempio operatori sanitari, cassieri e banconisti – per le quali opera una presunzione semplice di contagio, con onere della prova a carico del datore di lavoro).
Con nota del 15 maggio 2020 l’INAIL ha tenuto a precisare che il riconoscimento come infortunio sul lavoro dell’infezione da Covid-19 non implica automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, che si configurerebbe soltanto qualora venisse accertata una responsabilità per dolo o per colpa di quest’ultimo.
Nessi causali
Perché si possa effettivamente attribuire una responsabilità al datore di lavoro, è necessario che sia dimostrata la sussistenza di due nessi causali:
- quello intercorrente tra attività lavorativa/ambiente di lavoro e infezione da Covid-19;
- quello intercorrente tra l’infezione da Covid-19 e un’effettiva violazione (carenza od omissione), da parte del datore, delle misure di prevenzione e sicurezza previste dalla normativa.
Oltre alle recenti disposizioni emergenziali, è fondamentale, inoltre, ricordare che la normativa ordinaria resta comunque vigente: l’art. 2087 del Codice civile riconosce al datore di lavoro lo status di garante della tutela dell’integrità fisica dei propri dipendenti e lo stesso D.Lgs. 81/2008 pone a carico del datore di lavoro diversi obblighi in tal senso.
Dunque, qualora il datore di lavoro non abbia osservato scrupolosamente le misure contenute nei Protocolli o non le abbia correttamente applicate, e sia stato accertato il nesso di causalità tra l’infezione e l’omissione, potrebbe profilarsi nei suoi confronti una condotta omissiva rilevante dal punto di vista penale.
Come sottolineato anche dalla stessa INAIL, l’incertezza sulle effettive modalità di contagio e il continuo aggiornamento delle prescrizioni in tema di misure di prevenzione e sicurezza, rendono complessa la dimostrazione dell’esistenza dei nessi causali e, di conseguenza, anche la configurazione di una responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro, ma non di meno, al di là della responsabilità giuridica che potrebbe profilarsi, la tutela della salute dei dipendenti resta una responsabilità anche morale delle aziende, dalla quale discende, inoltre, una più generale tutela dell’attività stessa, nonché della salute dello stesso datore di lavoro.
Ricordiamo, pertanto, nuovamente, l’importanza di una corretta e adeguata applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza previste dai Protocolli, di una chiara ed esauriente informativa rivolta ai dipendenti e a eventuali terzi che abbiano accesso ai locali aziendali e di un’attenta e costante sorveglianza circa l’effettiva adozione da parte dei dipendenti delle misure di igiene e sicurezza e dei dispositivi di protezione individuali necessari.