Archive : Gennaio 2019

Fusione e riporto delle perdite. Le recenti novità interpretative fornite dall’Agenzia delle Entrate

A partire dallo scorso 5 dicecembre 2018, si è registrata una nuova tendenza intepretativa da parte dell’Agenzia delle Entrate, in materia di riporto/trasferimento delle perdite fiscali nelle operazioni di fusione.

Pubblichiamo l’articolo a firma di Maria Cristina Chioda, Partner dello Studio, scritto per Diritto 24

 

L’esame integrato delle risposte a interpello n. 93 e n. 94 dell’Agenzia delle Entrate, entrambe datate 5 dicembre 2018, e del principio di diritto n. 6 formulato con nota 15 ottobre 2018, evidenzia una significativa evoluzione interpretativa della disciplina del riporto/trasferimento delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE nelle operazioni di fusioni, valorizzando con una lettura innovativa la ratio delle limitazioni al riporto delle perdite a suo tempo enunciata nella Relazione di accompagnamento al TUIR.

Con i suddetti pronunciamenti, l’Agenzia delle Entrate ha in particolare chiarito che, previa dimostrazione dell’effettiva operatività e capacità produttiva della società incorporata (da conseguire anche attraverso la determinazione dell’effettivo valore reale degli asset trasferiti), tali componenti (appunto perdite fiscali, eccedenze di interessi passivi ed eccedenze ACE) possono essere trasferite alla società incorporante anche in assenza dei requisiti richiesti dall’art. 172 comma 7 del TUIR a riprova della “vitalità” della società che le ha prodotte, nonché in riferimento al suo patrimonio netto contabile.

In premessa, giova ricordare come in materia di fusioni il mantenimento del diritto al riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE maturate in capo a una società interessata da operazione di fusione dipenda dall’esito positivo di un duplice test di legge e dal rispetto dei limiti consentiti per alcuni indicatori. In sintesi, occorre prioritariamente dimostrare l’effettiva operatività della società titolare del diritto in questione, attraverso una verifica di portata come minimo triennale, avente ad oggetto i ricavi della gestione caratteristica e le spese per prestazioni di lavoro subordinato. In via ulteriore, la società interessata deve risultare titolare di un patrimonio netto contabile, quale risultante dall’ultimo bilancio e decurtato dei conferimenti e dei versamenti effettuati nei 24 mesi anteriori, di ammontare almeno pari all’importo delle posizioni soggettive in analisi; qualora il patrimonio netto contabile da bilancio risulti superiore alla situazione patrimoniale definita ai sensi del Codice Civile, ai fini della verifica di congruità sopra descritta si assume a riferimento il secondo parametro. In proposito, è importante sottolineare che di tali requisiti minimi di vitalità economica deve essere dimostrata una sussistenza non solo perdurante nei tre periodi precedenti a quello in cui viene deliberata la fusione, ma anche persistente sino al momento in cui la fusione trova effettiva attuazione (risoluzione n. 143/E del 2008).

La verifica della sussistenza di condizioni minime di vitalità economica e del rispetto del “limite patrimoniale” sono gli strumenti individuati dalla norma a tutela e garanzia della piena affermazione della ratio che sottende l’articolo 172, comma 7 del TUIR, ben delineata nel testo della Relazione di accompagnamento al provvedimento, che esplicita come l’obiettivo sia quello di contrastare il cosiddetto commercio di “bare fiscali”, realizzabile mediante fusioni con società prive di capacità produttiva (talora persino portate strumentalmente in tale condizione), allo scopo di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali di una società con gli utili imponibili dell’altra.

In specifico riferimento alla previsione di un “limite patrimoniale”, la volontà insita nella norma è quella di “attuare una soluzione equilibrata, che pur mantenendo fermo il diritto del riporto delle perdite, eviti che per mezzo della fusione si trasmettano deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate“.

In tale ottica ed in coerenza con lo spirito della norma, nel chiarimento fornito con il principio di diritto n. 6 del 15 ottobre 2018 – elaborato in risposta ad apposita istanza di interpello “disapplicativa” presentata ai sensi dell’art. 11, comma 2 della L. n. 212/2000 – l’Agenzia delle Entrate riconosce come le perdite della società incorporata, di cui è stato chiesto il riporto, non rappresentino la conseguenza di un’attività di “svuotamento” o “depotenziamento” di una “bara fiscale”, ma al contrario siano veritiera rappresentazione di costi sostenuti nell’esercizio dell’ordinaria attività di gestione di una impresa neo costituita, che nel caso in questione non aveva ancora ottenuto le autorizzazioni necessarie per lo sviluppo del proprio core business. In merito alla fattispecie di società che a distanza di un solo esercizio dalla costituzione vengono interessate da operazioni di fusione con riporto di perdite, con la Risoluzione n. 337/E/2002 l’Agenzia delle Entrate ha escluso che la circostanza assuma automaticamente il carattere di indicatore di un potenziale abuso del beneficio fiscale, conseguibile attraverso una artificiosa azione di “depotenziamento”, negando che una situazione così configurata sia inevitabilmente funzionale ad uno scopo elusivo.

Di particolare rilevanza ed interesse risulta inoltre l’approccio adottato con la Risposta 94/2018 dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della valenza dei risultati del cosiddetto test di vitalità in ordine ai ricavi e proventi dell’attività caratteristica, nonché della verifica del parametro relativo ai costi da lavoro dipendente. Infatti, nel caso in questione, nonostante il mancato superamento da parte della società incorporata dei parametri del test di vitalità previsti dal legislatore, è stato acclarato e riconosciuto che la specifica condizione in esame non integrava la situazione che la norma antielusiva intende colpire, in particolare attraverso la dimostrazione di come gli interessi passivi indeducibili acquisiti dal soggetto “X” per effetto della fusione fossero correlati ad un asset partecipativo nel soggetto “Z” con sede negli USA, asset avente peraltro un valore di mercato considerevolmente superiore all’importo del beneficio fiscale.

Tale constatazione (integrata dai chiarimenti già acquisiti con la Risoluzione n. 143/2008 in materia di rilevanza non esclusiva né vincolante della mancanza di personale quale indicatore di scarsa vitalità aziendale) ha quindi consentito all’Agenzia delle Entrate di esprimere parere positivo alla disapplicazione normativa richiesta con l’istanza in esame.

Al centro del caso esaminato con la Risposta 93/2018 è invece il mancato rispetto del cosiddetto limite patrimoniale, che tuttavia nella circostanza in questione non ha comportato la negazione del diritto di riporto delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE all’esito di un’operazione di fusione. Nonostante non fosse in grado di soddisfare il requisito patrimoniale, la società incorporata non è stata infatti qualificata come “priva di capacità produttiva”, alla luce delle considerazioni che seguono. Il caso riguardava un’operazione di fusione tra due banche, in cui la società incorporata è risultata “vitale” in base ai parametri dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e del costo relativo al lavoro dipendente, ma ha rilevato un patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio di importo inferiore a quello delle perdite fiscali e delle eccedenze ACE. In proposito, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la società incorporante abbia dimostrato anche attraverso la valutazione al fair value delle singole attività e passività dell’incorporata di non integrare la situazione che la norma antielusiva intende colpire, formulando pertanto parere positivo alla disapplicazione normativa richiesta.

Alla luce degli elementi normativi e dei pronunciamenti sin qui richiamati, si può quindi dare atto del legittimo fondamento delle richieste presentate dal contribuente ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8 Dpr 29 settembre 1973, n. 600, ai fini di ottenere la disapplicazione delle disposizioni previste dall’art. 172, comma 7 del TUIR, qualora venga dimostrato che l’operazione di fusione non rappresenta il veicolo strumentale di una manovra elusiva, consistente nell’incorporazione di una società priva di vitalità economica, allo scopo di decurtare il reddito imponibile di una delle società partecipanti con le perdite fiscali accumulate negli esercizi precedenti la fusione da altra società, la cui attività economica sia ormai inesistente.

E’ infine da rilevare come nelle fonti di recente produzione sopra richiamate gli elementi di maggior valenza innovativa siano frutto di una rilettura in chiave propositiva dei passaggi che la Relazione di accompagnamento al TUIR aveva a suo tempo dedicato alle motivazioni su cui si fondavano le limitazioni introdotte al riporto delle perdite (con successiva estensione alle eccedenze di interessi e alle eccedenze ACE). Il principio fondante (consistente nell’esigenza di evitare che, per mezzo della fusione, “si trasmettano deduzioni del tutto sproporzionate alle consistenze patrimoniali delle società fuse o incorporate“) viene ora reinterpretato, aprendo alla possibilità di disapplicare la norma contenuta nell’art. 172, comma 7 del TUIR, qualora il patrimonio netto a valori reali dell’entità trasferita risulti superiore alle attività per le quali, potenzialmente, operano le limitazioni di legge.

Bando Impresa eco-sostenibile e sicura: contributi per investimenti innovativi in sicurezza e sostenibilità ambientale

La Regione Lombardia promuove la realizzazione, da parte delle micro e piccole imprese commerciali e dell’artigianato, di investimenti innovativi finalizzati all’incremento della sicurezza e alla riduzione dei consumi energetici dell’impatto ambientale della loro attività.

Beneficiari: micro e piccole imprese commerciali e artigiane, con almeno una sede operativa o unità locale in Lombardia, che svolgono un’attività classificata con uno dei codici ATECO 2007 ammessi.

Agevolazione: contributo a fondo perduto pari al 50% delle sole spese considerate ammissibili, nel limite massimo di 5.000,00 euro per gli investimenti in sicurezza, quali sistemi antifurto, antirapina o antintrusione ad alta tecnologia, e acquisto di dispositivi per la riduzione dei flussi di denaro contante (investimento minimo 3.000,00 euro), e di 10.000,00 euro per gli interventi in sostenibilità ambientale (investimento minimo 5.000,00 euro).

Domande: i soggetti interessati possono inviare la richiesta a Unioncamere Lombardia, esclusivamente tramite il sito http://webtelemaco.infocamere.it, a partire dalle ore 10.00 del 12 febbraio 2019 fino alle ore 16.00 del 7 marzo 2019.

Per avere maggiori informazioni, è possibile consultare il seguente link

 

Studio Bertolli per il restauro della Loggia dei Telamoni di Villa Cagnola a Inverigo (CO)

Siamo orgogliosi di presentare oggi, attraverso questo video, i risultati del restauro della Loggia dei Telamoni di Villa Cagnola a Inverigo, deturpata da ignoti con graffiti realizzati con vernice spray.
Il nostro Studio ha sostenuto la preziosa opera della Fondazione Don Carlo Gnocchi e dell’Associazione di volontari “Le Contrade” che, con il loro lavoro e grazie al contributo dei ragazzi della scuola media statale “Filippo Meda”, hanno posto rimedio al danno (non senza difficoltà), restituendo dignità a un’opera che rappresenta per il territorio brianzolo e per tutta la nostra storia artistica e culturale, un capolavoro del Neoclassicismo italiano.

 

Fai del bene? Il Fisco ti è amico

Forbes Italia ha realizzato un approfondito focus sulle attività di Charity e del Terzo settore.

Riportiamo l’intervista al dottor Gianluigi Bertolli che è stato interpellato in merito alle agevolazioni fiscali previste per le fondazioni e gli enti filantropici.

Non può essere la motivazione principale, ma una fiscalità di favore indubbiamente incentiva i Paperoni a compiere atti di liberalità. Ed è così che, sull’esempio di quanto da tempo avviene in altri paesi, a partire dagli Stati Uniti, anche da noi si va sviluppando una legislazione ad hoc per far decollare il mecenatismo e la filantropia. “Il piacere di fare del bene si riscontra con una certa frequenza nelle famiglie dotate di patrimoni importanti, al punto da aver trovato supporto anche all’interno del settore della consulenza patrimoniale, con iniziative mirate a interventi strutturati delle attività filantropiche”, racconta Stefano Loconte, managing partner di Loconte & Partners. Gli esempi che arrivano dall’altra sponda dell’Atlantico sono numerosi, con il ricorso a fondazioni benefiche diffuso già ai tempi di Ford e Rockefeller e rinnovato dai nuovi miliardari del web, a cominciare da Mark Zuckerberg, che alla nascita della figlia ha donato il 99% delle azioni di Facebook. Negli Usa, ricorda Loconte, le donazioni individuali ammontano a circa 300 miliardi di dollari l’anno, una cifra enorme “frutto non solo di un atteggiamento culturale, il cosiddetto give back’, ma anche di una politica fiscale che garantisce deduzioni che possono arrivare anche al 50%”.

In Europa invece, il Regno Unito primeggia con 25 miliardi circa di raccolta destinata alla beneficenza, con totale defiscalizzazione delle donazioni in favore delle charity, mentre l’Italia si colloca al terzo posto con circa 9 miliardi di euro, dopo i 23 miliardi della Germania.

Se si guarda in prospettiva il nostro Paese ha ampi spazi di crescita. La riforma del terzo settore, completata due anni fa, ma non ancora pienamente digerita, apre alla possibilità di un approccio basato su modelli di filantropia strategica. La principale novità è costituita dalla figura degli enti filantropici, associazioni o fondazioni costituite “al fine di erogare denaro, beni o servizi, anche d’investimento, a sostegno di categorie di persone svantaggiate o di attività di interesse generale”, le cui sovvenzioni da parte dei contribuenti privati determinano una detrazione Irpef pari al 30% delle erogazioni in denaro. E il beneficio sale al 35% se le liberalità sono a favore di organizzazioni di volontariato. Inoltre è prevista una deduzione dal reddito complessivo netto del soggetto erogante (persone fisiche, enti o società) nei limiti del 10% del dichiarato. Dunque il legislatore italiano ha previsto un doppio canale, “permettendo sia di agire sul reddito imponibile, decurtandone una parte in virtù dell’importo donato, ovvero agendo sull’imposta astrattamente dovuta, consentendo la detrazione quindi di una quota opportunamente determinata in base al caso specifico”, come spiega Giuliano Foglia, fondatore dello studio Foglia & Partners.

Ancora una volta è agli Stati Uniti che occorre guardare per cercare nuovi spunti di crescita. “Di recente è stato raddoppiato, portandolo a 12mila dollari per i singoli individui e 24mila per le coppie sposate, l’importo della deduzione forfettaria che può operarsi sul reddito lordo”, aggiunge l’esperto.

Guardare alle altre legislazioni non è solo utile a innovare in direzione positiva la normativa italiana, ma offre agli imprenditori globali l’opportunità di scegliere la destinazione dei propri atti di liberalità. Ad esempio nella legislazione inglese, sottolinea Gianluigi Bertolli, partner di Bertolli & Associati, è centrale il ruolo della giurisprudenza (dato il sistema di common law, ovvero un modello di ordinamento giuridico basato sui procedimenti giurisprudenziali più che su codici) nel definire le varie tipologie di attività che possono essere considerate charitable. “L’ordinamento del paese prevede una serie di benefici che spaziano dalla esenzione dall’imposta sul reddito, all’esenzione dall’imposta sul capital gain (a condizione che i profitti vengano reinvestiti in opere caritatevoli) all’esenzione in materia di imposte di successione e donazione, all’esenzione dall’imposta di registro in relazione a qualsiasi alienazione, trasferimento o locazione”, spiega Bertolli. “Sono previste poi esenzioni dall’imposta sul valore aggiunto per le charity che operano nel settore sanitario e loro sovvenzionatori“. Particolari benefici di natura fiscale sono inoltre riconosciuti ai soggetti che devolvono utili/guadagni a favore di una charity (esenzione dalla capital gain tax) o che si impegnano a versare una parte dei propri guadagni a tali istituzioni (esenzione dalla income tax), con ciò incentivando a compiere donazioni in favore delle charities.

Un quadro articolato, dunque, e quasi ovunque in evoluzione per incentivare il welfare privato laddove la mano pubblica è sempre più in difficoltà nel fornire copertura. Questo spiega perché tra le private bank e i family office si vadano sviluppando servizi ad hoc per assistere e orientare le scelte dei Paperoni. Perché far bene è più facile se il fisco è amico.

In allegato l’articolo in formato PDF