Quello che avreste voluto sapere sull’impresa sociale (ma non avete mai osato chiedere)

  • Studio Bertolli
  • 4 Settembre 2017

Il dottor Gianluigi Bertolli è stato intervistato per il Corriere della Sera Sociale da Gianluca Testa e ha spiegato tutto quello che bisogna sapere quando si parla di impresa sociale.

Riportiamo qui sotto il testo completo e che potete leggere cliccando qui

MILANO – Le imprese sociali, queste sconosciute. Sono al centro dei dibattiti, fuori e dentro le organizzazioni del terzo settore. Ne parlano sia gli operatori sia i politici. E poi c’è una riforma che le coinvolge. Una materia nuova, in divenire, che viene interpretata come una realtà ma che spesso è percepita come un miraggio. Una materia complessa, soprattutto nelle interpretazioni. Qui non si tratta solo di un’analisi condizionata dalla ricerca (o dalla difesa) di un’identità. Qui ci sono confini e perimetri che si stanno delineando e che coinvolgono sia l’universo fiscale sia quello giuridico. Da studenti diligenti sappiamo che l’impresa sociale è individuata dal dlgs 155/06 e che non rappresenta un soggetto giuridico a sé, ma una nuova qualificazione. Sappiamo che può essere assunta da soggetti costituiti con qualsiasi forma giuridica, che è vietato distribuire gli utili, che i settori coinvolti variano dall’istruzione alla tutela ambientale, dalla valorizzazione del patrimonio culturale al turismo sociale. Ma comprendono anche la formazione (universitaria e post-universitaria), la ricerca, l’assistenza (sociale, sanitaria e socio-sanitaria). Per capirne di più abbiamo rivolto qualche domanda al commercialista Gianluigi Bertolli, titolare dello Studio Bertolli & Associati che da oltre 60 anni, a Milano, offre servizi di consulenza fiscale e tributaria e che nel tempo si è specializzato sui soggetti che operano nel terzo settore.

Bertolli, cos’è l’impresa sociale? Tutti ne parlano, ma in pochi sanno davvero di cosa si tratta.
«È un ente. Può avere le più svariate forme giuridiche, quindi riguarda qualsiasi tipologia di soggetto. Non c’è un unico soggetto giuridico. Possono essere impresa sociale fondazioni, società, associazioni… L’elenco dei soggetti è lungo. E questa è giù una bella novità».

Questo “ente” quale attività svolge?
«Economica, quindi destinata allo scambio di beni e servizi.  Però deve avere due peculiarità».

Quali?
«Primo: deve realizzare delle finalità di interesse generale, ovvero coinvolgere quanti più soggetti possibili. Secondo: non deve avere la finalità di lucro».

In sintesi?
«È un soggetto non profit che svolge attività d’impresa».

Se tutti possono diventare impresa sociale, qual è il bisogno (e il vantaggio) di essere riconosciuti come tale?
«La finalità di questa norma è di dare un contorno più definito a una tipologia di attività che può essere svolta da soggetti esistenti, ma che finora non potevano fregiarsi di questo titolo. L’impresa sociale è soggetta all’iscrizione in un apposito registro. Proprio come capita alle società, che normalmente sono iscritte al registro della Camera di Commercio».

I settori di intervento?
«L’impresa sociale può svolgere la sua attività in determinati campi specifici. Sono parecchi, soprattutto in ambito sociale».

C’era proprio bisogno di questa nuova definizione?
«Da noi, fino al 2006, la definizione di impresa sociale non esisteva. Anche se il concetto era già dibattuto in dottrina. Una storia che si ripete, come quando nel 1992 sono state introdotte le onlus. Prima non esistevano, ma esistevano invece tanti soggetti che già svolgevano quel tipo di attività. Di fatto viene riconosciuto e regolamentato l’esistente».

I soggetti che già operano in questo mondo, perché dovrebbero diventare impresa sociale? Non si corre il rischio di creare un contrasto con la mission statutaria?
«C’è una trasversalità. E sicuramente ci sono soggetto esistenti (onlus, associazioni e fondazioni) che già  svolgevano attività di impresa sociale. E che, semplicemente adeguandosi alle regole, oggi si possono “etichettare”. Se esistevano già altri soggetti che perseguivano finalità identiche a quelle dell’impresa sociale, è difficile capire il perché sia stata introdotta questa nuova entità».

Questo intervento complica o semplifica l’ecosistema delle norme?
«Per l’uomo della strada è una complicazione, per il terzo settore e per gli addetti ai lavori no. Ricordo che la norma delle onlus era prima di tutto di natura fiscale. Questa, invece, ha una funzione specifica: inquadrare nel sistema giuridico italiano un soggetto che fa impresa senza finalità di lucro, ma avendo come obiettivo quello di perseguire l’interesse generale. Quindi, dal punto di vista giuridico, si è voluto normare ciò che era esistente, ma senza essere inquadrato in un sistema armonico».

È corretto parlare di soci?
«No, perché l’impresa può avere qualsiasi forma. Nella fondazioni, ad esempio, non esistono soci. Non c’è la figura del socio come nella Srl, che ha diritti e doveri normati dal codice civile. Anche se, occorre ricordarlo, anche una Srl può diventare impresa sociale. L’importante, ribadisco, è che non segua finalità di lucro».

Ha parlato di un registro per l’impresa sociale. I soggetti esistenti devono quindi cambiare la loro iscrizione?
«Quelle sociali sono registrati in un’apposita sezione del registro delle imprese. Prendiamo il caso della Srl: non avrà due iscrizioni, ma sarà iscritta al registro delle imprese – com’è normale che sia – nella sezione delle imprese sociali».

La riforma del terzo settore prevede un registro unico. Quale sarà il futuro?
«Sì, c’è uno schema di decreto che prevede anche il registro unico. Per capirne di più, quando saranno approvati, sarà necessario leggere i decreti attuativi. Sicuramente il terzo settore continuerà a comprendere l’impresa sociale, così come le cooperative sociali».

In attesa della definizione di questo nuovo quadro, cosa deve fare un soggetto esistente che vuol diventare impresa sociale?
«Le norme transitorie dicono che in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi restano in vigore le disposizione pregresse. Chi vuole attivare un’impresa sociale deve seguire le regole valide fino a oggi».

E le cooperative?
«In questo caso, l’opportunità è solo ad appannaggio delle cooperative sociali».

Perché dovrebbero diventare impresa sociale?
«Perché in questo modo rientrano in un comparto normativo che regolamenta in modo più preciso e puntuale le peculiarità dell’attività».

Per l’iscrizione a chi rivolgersi?
«È sufficiente recarsi al registro delle imprese. Se uno è capace di seguire l’iter non è necessario neppure l’intervento del commercialista. Basta rivolgersi allo sportello del registro imprese ed è fatta».

I vantaggi fiscali?
«Sono più diretti».

Un esempio?
«Nello schema di decreto del terzo settore si specifica che chi sovvenziona le imprese sociali beneficia di una detrazione fiscale dal proprio reddito. In questo modo si favorisce il sostegno a questa tipologia d’impresa».

E le società benefit?
«Sono un’altra cosa. La vera differenza sta nel fatto che le b-corp perseguono fini di lucro. Per disposizione statutarie, poi, devono perseguire il for prosit avendo particolare riguardo a tutto il mondo che coinvolgono, dai lavoratori all’ambiente».

Per chiudere le chiediamo se c’era proprio bisogno dell’impresa sociale. E poi: ha ancora senso parlare di terzo settore, visto che ora può comprendere anche delle società?
«Pensi che qualcuno, da tempo, disquisisce anche sulla definizione delle cooperative, comprese quelle sociali. C’è chi ritiene si debba parlare di quarto settore. Per il resto, be’, oggi non ci sarebbe questa necessità di definire ulteriori perimetri. La spiegazione che mi sono dato è questa: considerando che nell’evolversi della normativa c’era bisogno di un quadro rigoroso per normale quei soggetti che operano quasi esclusivamente in ambito sociale, l’impresa sociale offre più certezze. Oggi si fa quello che si sarebbe dovuto fare nel 1992, ovvero si cerca di dare un inquadramento organico giuristico e civilistico  prima ancora che fiscale».